Noi resistiamo
E così eccoci qui.
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E così eccoci qui.
di Virginia De Giuseppe
Il mese di Giugno è esploso anche quest’anno con i suoi fiori superbi, meravigliosamente aperti alle api, al sole sgargiante, alla vita. Nessuna descrizione potrebbe render loro giustizia, nessuna foto, per quanto ben fatta, ci riuscirebbe: anzi, risulterebbe irrimediabilmente noiosa, troppo statica e decontestualizzata, estratta dal contesto generale, di solito paradisiaco, in cui quel fiore esiste.
Approfittiamo dunque della dolcezza di Giugno e della sua luminosità profumata, per farci da scudo all’anima e riprendere, per la terza e ultima volta, una delle discussioni più feroci, volgari e tristi tra quelle attuali: quella tra vegetariani e carnivori, tanto nei contenuti quanto nei toni sarcastici con cui spesso viene affrontata.
Ripartiamo dall’elenco iniziato nel post precedente, di cui avevamo già analizzato i primi due punti:
- partiremo da “anche le verdure sono vive”;
- proseguiremo con “anche mentre cammini calpesti centinaia di formiche”;
- passando per il già citato “in natura funziona così”;
- slittando poi nel “a me nessuno dice cosa mangiare”;
- quindi nell’inflazionato “l’essere umano è carnivoro” (faremo un confronto con i veri carnivori che mangiano carne cruda, con tutti gli organi, la pelliccia ecc.);
- infine, nel “la carne si mangia da sempre, anche i primitivi lo facevano” (i primitivi erano anche cannibali, e praticavano tranquillamente stupri, ecc.).
Elenco che, pur semplificato, riflette il più comune arsenale retorico della difesa carnivora, ma tralascia molte sotto-voci. Ad esempio, una mia amica di Firenze, in un commento personale ricevuto dopo aver letto il post precedente, mi ha suggerito un altro grande classico:
“Ma ai bambini uccisi in guerra o che muoiono di fame, non ci pensi?”
Anche questo meriterebbe un approfondimento, ma avendo già descritto il meccanismo “anche le verdure sono vive” è facile fare 2+2 e intuire che si tratta dello stesso identico trucchetto comunicativo, spostato semplicemente su un altro asse. In altre parole: pur di sminuire la sofferenza animale, la si confronta o con quella delle verdure, sollevando la questione della loro presunta sensibilità, o con quella umana, che verrebbe invece colpevolmente trascurata. Si usa cioè il paragone con la sofferenza vegetale per minimizzare da un lato, e con quella umana per minimizzare dall’altro. Bel colpo, ragazzi! Una doppia imbucata a biliardo: ingegnosa per l’osservatore distratto, ma nella comunicazione chi gioca davvero difficilmente si distrae, e quindi niente punti.
E chissà quanti altri giochi e fuochi d’artificio retorici salterebbero fuori. Anzi, ben venga in futuro chi ne vorrà aggiungere altri. Ne butto lì un ultimo, che mi è venuto in mente proprio adesso mentre scrivo e che è piuttosto diffuso:
“Tu che difendi i maiali, vediamo a parti inverse se buttano te in una vasca di maiali, se loro sono così teneri con te ahah”. Questo è un capovolgimento ad hoc, una bella capriola per deresponsabilizzarsi, come se l’istinto animale e la coscienza umana potessero “giocarsela” ad armi pari nella stessa vasca.
Tutti questi discorsi dei carnivori hanno un fondo di verità, ma sono micro-concetti veri solo nel dettaglio, mentre perdiamo completamente di vista il macro, l’orizzonte largo, il quadro più ampio. Noi invece è proprio in quell’orizzonte che vogliamo volare, e la frase “Anche in natura funziona così”,ci apre il cielo e ci introduce al cuore di questo ragionamento. Per esigenze di sintesi, assembleremo in un unico continuum anche le voci successive.
Volando dunque su questa fitta giungla comunicativa, noteremo subito che tale frase viene usata spesso per legittimare il consumo di carne, partendo dall’assunto che l’essere umano, essendo inserito nella natura, debba rispettarne le leggi.
Ora, se fossimo in una rivista tipo Riza, la questione dell’essere umano allineato alle leggi di natura risulterebbe assolutamente plausibile, magari inserita in una rubrica “cittadina” del tipo: rispettare i cicli naturali, assumere integratori stagionali, alimentarsi di frutta fresca in base alle stagioni, camminare scalzi per riconnettersi con la terra, bla bla bla. Tutto vero, per carità, ma siamo ben lontani dal nocciolo duro che qui ci interessa.
Qui non siamo su Riza, ma sulla più selvatica Querce. Perciò propongo un esperimento un pò rock per andare a dare un’occhiata su come, effettivamente, funzioni questa natura tanto citata dai carnivori: immaginiamo di prendere appunto un carnivoro e caliamolo da solo, nudo, scalzo e disarmato, in un ambiente completamente naturale.
Niente trucchetti, niente strumenti, niente tecnologie. Via le comodità, via i parchi cittadini aperti dalle 8 alle 20, via le fontanelle e le aiuole curate, via anche le tranquille grigliate d’estate. Vediamo cosa accade a un essere umano in una giungla tra serpenti e piante velenose, oppure nella gelida steppa siberiana, o nella bollente savana africana tra leoni e company.
Anche volendo evitare gli scenari più estremi, mettiamolo in un ambiente naturale mite, ad esempio una collina senza predatori feroci, con acqua vicina e clima temperato: l’essere umano – nudo, scalzo e disarmato – fa fatica ovunque! Fa fatica anche con le formiche, avrebbe enormi difficoltà, molto più gravi e ingestibili delle “normali” difficoltà degli altri animali. Non regge il confronto con nessuno di loro, chiunque risulta più adatto all’ambiente di lui. È tanto assurdo quanto evidente: l’essere umano, sulla terra…non c’azzeca! Fateci caso: sembra uno di quei giochi “trova l’intruso”: c’è l’elefante, il ghepardo, la zebra, l’orso… e poi c’è l’uomo. Mah!
Possiamo parlarne fino a domattina, ma le cose stanno così. Dobbiamo ammetterlo una volta per tutte: l’essere umano, con il pianeta Terra, non c’entra nulla. Spogliato di tecnologie, non sopravvive.
È un punto difficile da digerire (è il caso di dirlo, dato l’argomento), perché apre una serie di questioni complesse. Intanto, è un colpo all’ego. Come quella frase di Freud sulle tre ferite narcisistiche dell’umanità: Copernico ci ha tolto dal centro dell’universo; Darwin ci ha tolto la natura divina dimostrando che siamo animali tra gli altri (N.b) e la psicanalisi ci ha mostrato che l’Io non è nemmeno padrone in casa propria, guidato com’è dall’inconscio.
Povero essere umano, e lo dico senza ironia. Alle tre umiliazioni già viste, ne va aggiunta una quarta: guardarsi intorno e rendersi conto che siamo degli ospiti fuori posto. Invece è così comodo, vincente, galvanizzante, attivare un meccanismo di compensazione e sentirsi il padrone del pianeta, il più furbo e forte di tutti -con il fucile da caccia- , seduto sulla poltrona regale in cima alla catena alimentare. È una distorsione dell’ego meravigliosa, che sazia in ogni senso. E invece, ahinoi, se si bypassa l’ego e si osservano le cose obiettivamente, è facile vedere l’essere umano quasi un alieno completamente fuori habitat, e lo dico senza poesia.
Le cause e le conseguenze di questo assunto ci porterebbero troppo lontano – dovremmo soffermarci bene a parlare non di, ma direttamente con Darwin* di evoluzionismo e di sociobiologia – ma ciò che ci interessa resta la questione centrale: l’essere umano è davvero un carnivoro, come si è auto-convinto di essere dai tempi della preistoria, magari, chi lo sa, per mettersi in pari, anzi più su, degli animali di cui percepisce in realtà la minaccia, la forza maggiore, la superiorità?!?
Per rispondere, senza scomodare accademici o scienziati, basta un confronto semplice, visivo, con i carnivori autentici. Vediamo come vanno le cose per loro:
- hanno pelliccia per sopportare il freddo o termoregolare il caldo;
- hanno zampe adatte al terreno, non hanno certo bisogno delle scarpe per non beccarsi infezioni problemi di ogni tipo;
- hanno denti a sciabola o comunque adatti a tritare carne viva, ossa e quant’altro con la massima naturalezza;
- hanno apparati digestivi adatti a far transitare velocemente il cadavere per non farlo andare in putrefazione, con intestino molto corto (nell’essere umano invece è lungo) e stomaco grande e molto acido adatto a digerire carne cruda e batteri (nell’uomo è meno acido e meno efficace per uccidere batteri),
- hanno artigli affilati per trattenere le prede (l’uomo ha unghie piatte e quasi inutili alla caccia);
- uccidono la preda senza l’aiuto di armi e la mangiano cosí com’è, viva e cruda, con gli organi ancora pulsanti e caldi, mentre la preda ancora si dimena per sfuggire, con gesti a sua volta violenti e capaci di far male. Quasi nessun essere umano ne uscirebbe vivo da uno scontro del genere, anche un gladiatore dell’antica Roma, solo e disarmato nella giungla, farebbe fatica, a meno che la preda non sia di piccole dimensioni come una lepre,ma anche in tal caso non riuscirebbe poi a mangiarla cruda,proverebbe uno schifo innato e un disgusto a un passo dal vomito, perchè intuitivamente saprebbe di rischiare un’intossicazione anche mortale.
*A Darwin chiederemmo: “Ma quando hai spiegato la mancanza di pelliccia dicendo che l’uomo potrebbe aver perso i peli perchè le donne preferivano gli uomini meno pelosi” (Cit. Da “The Descent of man”, 1871), sei mai stato a Tricase porto in una serata inverno, dove c’è un freddo pungente?”.Battute a parte, come può aver potuto ipotizzare una teoria così astrusa, mettendola davanti alla termoregolazione e all’adattamento? Ha poi aggiunto la presunta velocità guadagnata rispetto a un leone con la pelliccia, ma non regge anche questa!. Non ha senso essere sglabri su questo pianeta: ci sono animali senza pelliccia, tipo rinoceronti, ielefanti, alcuni rettili ecc, ma hanno pelle durissima che è una corazza, non la pelle delicata e invisibile degli esseri umani!)
Pongo giacchè una domanda a chi è in lettura: chi di voi, soprattutto tra i carnivori, riuscirebbe a mangiare a caldo gli zoccoli di uno gnu ancora sporchi di terra, o il becco di un’oca mentre starnazza, o gli occhi ancora vivi di un cavallo, che magari fino all’attimo prima ti hanno scrutato con una “presenza” impossibile da ignorare anche per il meno emotivo degli esseri umani? Ma lasciamo stare il lato emotivo, che potrebbe appunto lasciare indifferenti molti, parliamo proprio di gusto: chi riuscirebbe a mangiare gli occhi di un cavallo vivo? I veri carnivori lo fanno senza nessun problema, “in natura funziona così”.
Come abbiamo visto, “in natura” i carnivori hanno anche lo stomaco predisposto per questo, lo fanno con vera naturalezza sin da cuccioli, la madre al massimo fa un pastella masticando con la bocca e sputandola al cucciolo, certo non deve comprare la carne omogenizzata nel vasetto; ah proposito, di solito i bambini, molto collegati all’istinto tanto citato dai carnivori, trovano ingiusto mangiare gli animali! Comunque non si è ancora mai visto una mamma leonessa andare al banco carni del supermercato ad acquistare un antilope tagliuzzata eliminando la pelliccia che sarebbe immangiabile; non si è mai visto una tigre necessitare di coltello e forchetta, non risulta che gli animali abbiano bisogno di una pentola, del fuoco, dei processi di cottura, delle posate, del macellaio, del banco frigo per la conservazione, del controllo Hccp, del camion per mantenere la catena del freddo, della pubblicità falsissima in tv per spingere le vendite della cotoletta panata al retrogusto di antibiotico, ecc ecc.
Quel che stiamo cercando di dire è che in natura funziona così, ma appunto in natura! Tutta la catena di processi umani per mangiare la carne, soprattutto oggi ma anche prima, è quanto di più lontano dalla natura. Quando un carnivoro afferma questa frase, non si rende probabilmente conto che si trova in una posizione completamente in antitesi alla natura, è contro-natura. Era in antitesi già nella preistoria, ed è ancora più evidente oggi, dove il concetto preistorico della carne cotta sul fuoco è stato portato all’estremo tramite gli allevamenti intensivi e le conseguenze sono evidenti nel disastro ambientale che abbiamo creato e che il pianeta non regge, non era predisposto a tutto questo.
Pongo ancora un paio di domande, nel caso quella di prima non sia stata sufficiente, poi iniziamo a salutarci: chi tra voi riuscirebbe a mangiare un animale in decomposizione? Una carcassa dura e fredda a terra, già mezza mangiucchiata dagli avvoltoi? Questa è la natura, e i carnivori lo fanno. Oppure, quanti di voi mangerebbero la coda di un animale? Proprio la coda, la parte di dietro, ancora calda e viva, mentre sbatte e si dimena nell’animale che non vuole morire, magari con l’odore anche delle feci ancora addosso? Ebbene, i VERI carnivori non provano nessun disgusto, anzi mangiano voracemente tutto esattamente così come è: divorano la coda, i peli della pelliccia, le zampe, gli artigli, la bocca, i denti, gli occhi, le viscere ancora pulsanti, senza nessuna distinzione, senza nessuna cottura, senza nessun processo per renderla mangiabile e profumata, senza sale e pepe rosa.
Il nostro modo di mangiare carne è un’elaborazione culturale, non un istinto naturale. Questo processo culturale noi lo diamo da millenni per scontato, lo equivochiamo ormai per naturale, ma un osservatore attento coglie che, seguendo il filo logico, è lì la vera frattura di cui stiamo parlando, tra la necessità o meno di processare e lavorare un prodotto. Ci si arriva per ragionamento, non servono studi, letture ecc, se si riavvolge il nastro storico e preistorico si coglie bene la frattura tra uomo e natura. Qui di solito i carnivori obiettano: “Eh va be ma anche i ceci vanno cotti. Anche molte verdure sono quasi immangiabili da crude, ad esempio le patate. Quindi? Come la mettiamo?”, detto di solito con quel sarcasmo sprezzante che ci costringe un pò, a nostra volta, a trattare l’argomento con spada elegantemente sguainata.
Allora, rispondiamo una volta per tutta alla questione che anche i ceci o altre verdure vadano cotte, ma diciamolo già: questa è, tra quelle dette finora, l’obiezione che suona più sensata. Se finora ce l’eravamo cavata benone perchè ci si trovava di fronte tutte obiezioni superficiali, qui siamo in una zona Cesarini finale dove è più facile che un carnivoro faccia goal a un vegetariano. Serve una mente affilata per resistere e parare gli ultimi colpi in questa zona. Proviamoci:
La differenza tra cuocere un alimento vegetale e dover “processare” la carne per renderla accettabile, è la differenza tra adattamento alimentare e stravolgimento strutturale. Se vogliamo davvero giocare alla regola “in natura funziona così”, dobbiamo chiederci: senza utensili, senza tecnologie, senza industria, quale di questi due gruppi di cibi — vegetali o animali — sarebbe alla nostra portata?
Questa è una prima risposta, ma non soddisfa del tutto, troppo lunga e poco incisiva.
Proviamo con:
Sì, anche i ceci vanno cotti, ma è cucina. La carne, invece, deve essere trasformata perché altrimenti è tossica, indigesta, o addirittura letale. La carne non è cucina: è un’operazione chirurgica”.
Questa seconda risposta va un pò meglio, ma non elimina il dubbio che fa per un attimo vacillare l’intero ragionamento anche nel vegetariano più incallito. Lasciamo completamente perdere la questione etica, già vista nel post precedente, sul fatto che le verdure non abbiano lo stesso livello emotivo degli animali: è un’argomentazione che sui carnivori non attacca, la reputano roba per sensibiloni, per cui giochiamo alla loro stessa partita, facendo ora l’ultimo goal con la terza e ultima risposta, quella decisiva:
“I ceci li cuoci per non beccarti un mal di pancia. La carne la devi cuocere per non morire.”
Fischio dell’arbitro, chiusura dello scontro verbale tra carnivori e vegetariani, mentre in sottofondo parte la colonna sonora di Into the wild, in particolare il capolavoro “Guaranteed”, cioè garantito! Chiudiamo qui la triste partita, e la definiamo tale perchè viene trattata di solito come se vegetariani o carnivori fossero, di fatto, due tifoserie, come dire milanisti/interisti, o romani/laziali. Anche questo è, in fondo, un escamotage estremo per tergiversare dal nocciolo vero della questione: la sofferenza degli animali soprattutto negli allevamenti intensivi. E ‘più “facile” bisticciare tra umani, piuttosto che fermarsi a guardare un cavallo che sta per essere macellato. E’ un modo estremo, anche questo, per distogliere l’attenzione dagli animali.
Noi ci defiliamo dicendo, in chiusura, che la prossima volta che qualcuno dice che in natura funzionacosì, basta rispondere: “Eh, appunto. In natura!”
Dai ragazzi,questo è il pianeta degli animali e dei vegetali, è la loro casa! Come esseri umani non solo non ne siamo padroni, ma anzi siamo degli strani ospiti. Non a caso qualcuno ipotizza già come andarcene, ormai quasi costretti, su altri pianeti.
Ps: Per quanto mi riguarda, amo la Terra e preferisco guardare da qui la luna nelle magiche sere di Giugno, e il sole che non si lascia mai ben guardare eppure lo indicavo già da piccola. Mio nonno Gaetano, mi ricordava sempre mentre dicevo “Nonno, nonno, il tole il tole!” indicandoglielo con grande allegria, distogliendolo dalla sua serietà e facendolo sorridere, così che mi chiamava sempre “La mia primogenita del sole”, dal testo di Inno alla gioia. Nel frattempo però, mentre parlo di lui, è sbucata nella riproduzione casuale My sweet lord, di George Harrison, e vorrei fare come si fa in radio: finito di scrivere alzerei a tutto volume per far ascoltare anche a voi quel giro iniziale che parte. Questo articolo, scritto tra il 19 e il 20 giugno 2025 a un passo dall’equinozio d’estate, pur parlando di un argomento triste, lo dedico con la gioia profonda, solare e silenziosa che univa me e mio nonno. Ciaononno miooo.
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