Libertà non è uno spazio libero

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Libertà non è uno spazio libero

di Serena Laporta —

La libertà è partecipazione, colmare vuoti, travasare idee e significati. Lo diceva Gaber nel 1972 ed è valido oggi più che mai. Perché non saremo più liberi se scegliamo di stare in silenzio, di abitare la normalizzazione dell’orrore e la fine dell’umanità nell’abitudine e nell’indifferenza. Come nello striscione del corteo di Tricase del 30maggio scorso, se Gaza muore anche l’umanità sarà morta.

Abbiamo fatto della libertà e del superamento dei confini il nostro mantra, la somma delle nostre migliori aspirazioni, la bandiera delle nostre generazioni. Ma ora scorrono davanti ai nostri occhi immagini inimmaginate,  assistiamo  impotenti alla distruzione di  popoli, al funerale della libertà e dell’umanità sepolte sotto i cumuli di macerie dei bombardamenti e sotto il peso della vergogna.

Ma se proviamo ad uscire dalla rassicurante estetica della normalità che lo scroll continuo ci rimanda attraverso tramonti da favola, risvegli sull’oceano, piatti deliziosi di mirabolanti gourmet, la tragedia si compie e ci rimane la terra desolata, l’assalto per fame, i diritti dei bambini ridotti in cenere insieme alle loro piccole ossa, i feriti senza anestetico, i volontari come ultimi spettri della coscienza collettiva ormai perduta.

È un tempo in cui non c’è posto per tutti, alcuni non hanno diritto a un posto nel mondo, altri ne cercano uno migliore ma non hanno  diritto a un luogo migliore, altri  vogliono con forza il luogo vicino, altri vogliono che nessun vicino abiti il proprio luogo, e nel frattempo piovono bombe, e altri si armano per prevenire la pioggia di bombe. Può esistere vera pace senza libertà?

Ma ognuno può dare il suo contributo, ognuno può provare a riempire lo spazio vuoto che la libertà rivendica di colmare per tentare di realizzarsi. E finalmente dopo mesi di stigma, di veti, di censure, di accuse, di insulti, di arresti, le coscienze si rianimano, riprendono vita, come semi sepolti sotto lo strato tiepido e accogliente delle nostre vite normali a cui le lacrime dei bambini di Gaza hanno portato una pioggia colma di colpa.

Ognuno fa quel che sente di dover fare, quel che può, marcia, marcia a  New York , all’Aia o a Tricase , lo spirito è lo stesso, compie gesti di disobbedienza civile come nelle  università  o come il vigile del fuoco incaricato di rimuovere la bandiera palestinese da un monumento, che in un impeto di insubordinazione la sventola prima di buttarla giù, o come  Eric Clapton che si fa personalizzare la sua chitarra con i colori della bandiera palestinese e suona la struggente Voice Of a Child  https://www.facebook.com/watch/?v=225904673848713

L’importante è partecipare,  promuovere messaggi di pace, prendere posizioni pubbliche.

L’importante è far sentire la propria voce, che debole da sola, diventa urlo insopportabile  con  altre cento, mille, centomila. Prima o poi qualcuno l’udirà.

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Redazione

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  1. Hai ragione Alfredo condivido pienamente quanto scritto e quanto vissuto...abbiamo partecipato ad una serata che rimarrà nella coscienza di molti…

  2. Bell'articolo complimenti...mi piace conoscere altre realtà,e qui sono descritte nel modo giusto...p.s. noi italiani non abbiamo bei ricordi del Belgio..…