Ottima disamina,rende chiara la situazione attuale dell' operaio ...pochissimo potere di contrattazione...quasi da spalle al muro..
Referendum 2025: contro i licenziamenti facili
- Home
- Referendum 2025: contro i licenziamenti facili

Referendum 2025: contro i licenziamenti facili
di Alfredo Sanapo – – –
«Volete voi l’abrogazione del d.lgs.4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?»
Il quesito chiede di abolire quella parte del Jobs Act, introdotto dal governo Renzi del 2015 che rivisita la disciplina i casi di licenziamento illegittimo nelle imprese con più di 15 dipendenti. Essa prevede il superamento del reintegro nel posto di lavoro sostituito da un indennizzo economico “certo e crescente” commisurato all’anzianità di servizio. Esso è quantificabile da un minimo di 6 ad un massimo di 36 mensilità.
Al centro della discussione referendaria c’è un meccanismo introdotto nel 2015 dal governo Renzi, con il cosiddetto Jobs Act: una riforma che ha toccato nel profondo le tutele contro i licenziamenti ingiusti nelle aziende con più di 15 unità. Prima di allora, se un lavoratore veniva allontanato senza una legittima ragione, la legge gli offriva una potente ancora di salvezza: il reintegro, ossia il diritto di tornare al proprio posto. Con il Jobs Act, questa ancora è stata in gran parte sostituita da un salvagente economico: un indennizzo, il cui importo cresce con gli anni di servizio (“a tutele crescenti”), da un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità.
Per capire la portata di questo cambiamento, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, fino al 1970. In quell’anno, l’Italia si dotò dello Statuto dei Lavoratori, una vera e propria carta dei diritti. L’art.18 di quello Statuto sanciva, nero su bianco, che un licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo era illegittimo e il lavoratore doveva essere riammesso in azienda.
Poi, le correnti del pensiero economico iniziarono a mutare. Sotto la spinta di idee liberiste, sostenute sia dal centrodestra che da una parte della sinistra più incline a un “capitalismo dal volto umano“, prese piede una nuova filosofia: l’efficienza del sistema produttivo doveva avere la precedenza sul peso sociale del lavoro, visto quasi come un fardello per l’economia nazionale. L’idea di smantellare l’art.18 cominciò a serpeggiare già alla fine degli anni ’90, ma nessuno osò metterci mano fino all’arrivo del governo Monti. Con la legge Fornero del 2011, l’art.18 subì una prima, significativa revisione, ma conservava ancora una doppia corazza per il lavoratore: non solo un risarcimento per il tempo ingiustamente trascorso a casa, ma anche, in molti casi, il reintegro.
Il colpo di scena arrivò il 4 marzo 2015, con il D.lgs. n. 23, cuore pulsante del Jobs Act. Quel decreto spazzò via la versione Fornero dell’art.18. Da quel momento, per i nuovi assunti, il reintegro non fu più la regola, ma l’eccezione. Al suo posto, unicamente l’indennizzo, non solo per i licenziamenti individuali dovuti a ragioni economiche o organizzative, ma anche per i licenziamenti collettivi effettuati senza rispettare i criteri di scelta (come i carichi di famiglia, l’anzianità o le esigenze dell’azienda). Stessa sorte se il licenziamento avveniva durante un’assenza per malattia, prima che scadesse il periodo massimo consentito per conservare il posto (il cosiddetto periodo di comporto, di solito 6 mesi all’anno, fino a 12 nell’ultimo triennio): niente più reintegro, solo un risarcimento.
Il diritto a riavere il proprio posto è rimasto solo in casi estremi: i licenziamenti discriminatori (per idee politiche, fede religiosa), durante la maternità, quelli comunicati solo a voce o per motivi disciplinari palesemente infondati.
Secondo la CGIL, questa svolta ha lasciato i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 – oggi circa 3,5 milioni di persone – con armi spuntate. Non solo perché la legge ha ridotto le possibilità di tornare al lavoro anche di fronte a un’ingiusta interruzione del rapporto, ma anche perché, di fatto, la sanzione principale è diventata l’assegno, relegando il reintegro a poche, rare circostanze. Ma c’è di più: i lavoratori si sono visti diminuire anche il potere contrattuale, e quindi i risarcimenti reali. Prima del Jobs Act, quando un giudice ordinava il reintegro, il datore di lavoro che non voleva riprendere il dipendente era spesso disposto a pagare ben più del dovuto, pur di chiudere la questione. Oggi, con la nuova legge, il lavoratore incassa solo quanto stabilito dal giudice. Così, le tutele economiche “effettive”, quelle che si portavano a casa, si sono, nella pratica, quasi dimezzate.
Votando SI
Diamo uno STOP ai licenziamenti privi di giusta causa.
Votando SI
Ritorneremo a privilegiare il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo.
- Share
Ottima disamina,rende chiara la situazione attuale dell’ operaio …pochissimo potere di contrattazione…quasi da spalle al muro..