Referendum 2025: contro il precariato permanente

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Referendum 2025: contro il precariato permanente

di Alfredo Sanapo – – –

QUESITO N. 3 (scheda grigia)

«Volete voi l’abrogazione dell’art. 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1, c. 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, c. 1, limitatamente alle parole “non superiore a 12 mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1-bis , limitatamente alle parole “di durata superiore a 12 mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di 12 mesi”; c. 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i 12 mesi”; art. 21, c. 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi 12mesi e, successivamente”?»

Il quesito punta all’eliminazione di alcune norme sull’utilizzo dei contratti a termine con l’obiettivo di ridurre la piaga del precariato. Nello specifico, si cancellano quelle disposizioni contenute nel D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 che regolano la possibilità di instaurare  contratti a tempo determinato attraverso i meccanismi della proroga e del rinnovo automatico.

A metà anni ’90, per contrastare la disoccupazione, l’Italia iniziò a cercare una maggiore flessibilità nel lavoro. Questo portò, a partire dalle riforme del governo Berlusconi I e dal “pacchetto Treu” (governo Dini), alla nascita di molti tipi di contratti a tempo determinato. Fu l’inizio di una progressiva sostituzione del lavoro fisso con quello precario.

Con l’arrivo del nuovo millennio e il governo Berlusconi II, il “Libro Bianco di Maroni” spinse ulteriormente verso questa direzione. L’idea era che il mercato del lavoro dovesse funzionare come ogni altro mercato, con massima libertà per domanda e offerta, e che l’individualismo contrattuale fosse la chiave per la piena occupazione. La “legge Biagi” (2003) introdusse così nuove forme di contratti precari, come quello a progetto e la somministrazione aumentando la precarizzazione per molti lavoratori.

Il governo Monti (2012) tentò di riaffermare il contratto a tempo indeterminato come standard, pur mantenendo eccezioni significative (ad esempio, per i primi contratti fino a 12 mesi).

Successivamente, il “decreto Poletti” del governo Renzi liberalizzò ulteriormente i contratti a termine, portando la durata massima a 36 mesi (con un tetto del 20% di lavoratori a termine nelle aziende con più di 5 dipendenti) e introducendo l’obbligo della forma scritta. Il Jobs Act modificò poi profondamente il contratto a tempo indeterminato per i nuovi assunti nel privato.

Una parziale inversione di rotta si ebbe col “decreto dignità” (2018), che ridusse la durata massima dei contratti a termine da 36 a 24 mesi e il numero di proroghe possibili da 5 a 4. Infine, con le modifiche del 2023, la durata massima del contratto a termine è rimasta a 24 mesi. Tuttavia, per i primi 12 mesi non è più necessaria una motivazione specifica per l’assunzione a termine; questa diventa obbligatoria solo se si intende superare i 12 mesi, fino al limite massimo dei 24.

Attualmente in Italia circa 2 milioni e 300 mila lavoratori sono sottoposti a questa condizione di subalternità verso il datore di lavoro.

Votando SI

Ripristiniamo l’obbligo di una “causale per il ricorso ai contratti a tempo determinato  e non uno più lungo anche per i contratti di lavoro inferiori a 12 mesi, per garantire una maggiore tutela ai lavoratori precari.

Votando SI

Rendiamo il lavoro più stabile, eliminando le attuali deroghe che consentono proroghe o rinnovi più flessibili dei contratti a tempo determinato

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Redazione

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