C’è amarezza tra le righe della storia dimenticata e forse il problema è proprio l’incapacità di ricordare, di far sapere,…
Storia di noi elettori
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Storia di noi elettori
di Alfredo De Giuseppe – – –
Le prime elezioni del Regno d’Italia si svolsero nel 1861. Votarono circa 400.000 persone su una popolazione totale di 25 milioni. In sostanza meno del 2%. In effetti avevano diritto al voto solo i nobili per discendenza e i ricchi che dimostravano di esserlo. C’era anche qualche personaggio noto, qualche artista, qualche poeta e scrittore. I poveri e gli analfabeti non potevano votare, le donne men che mai. Questo dato non viene mai ricordato nelle analisi storiche e qualitative delle classi dirigenti che da sempre governano l’Italia.
Bisogna attendere oltre 50 anni, nel 1912, per il suffragio universale maschile, con una legge che garantiva il diritto di voto a tutti i cittadini di almeno 30 anni. Successivamente, nel 1918, il diritto fu esteso a tutti gli uomini di 21 anni e a quelli di 18 anni che avevano prestato servizio militare durante la Prima Guerra Mondiale. Le donne invece sempre a casa, cucinare, pulire e fare un po’ di figli utili alla Patria.
Andò peggio durante il ventennio fascista: con una legge del 1928 il diritto di voto fu fortemente limitato, trasformando il sistema elettorale in un plebiscito, senza alcuna possibilità di scegliere tra più candidati. Gli elettori potevano solo approvare o respingere una lista unica di candidati selezionata dal Gran Consiglio del Fascismo. E comunque continuavano a votare, diligentemente, solo gli uomini che dimostravano sempre un certo entusiasmo verso chi reprimeva ogni libera espressione.
Poi ci fu la disfatta del nazi-fascismo, la Resistenza, la Costituzione e gli Alleati a farci da tutor. Per la prima volta le donne italiane poterono votare il 2 giugno 1946, in occasione del referendum istituzionale per scegliere tra Monarchia e Repubblica, e per l’elezione dell’Assemblea Costituente. Quel giorno, oltre 13 milioni di donne si recarono alle urne, segnando un momento di svolta per la democrazia italiana. Anche le donne potevano essere elette, essere cittadine come i maschi, parlare di politica e forse avere anche un ruolo sociale meno subordinato.
Alle elezioni politiche del 1976, votarono per la prima volta i diciottenni quando l’età minima per il voto fu abbassata da 21 a 18 anni (anch’io votai per la prima volta in quell’anno e mi sembrò di essere finalmente diventato maturo). Tuttavia, per votare al Senato era necessario avere almeno 25 anni: solo con la legge costituzionale n. 1/2021, anche i diciottenni hanno ottenuto il diritto di voto per il Senato.
Insomma oggi potrebbero votare tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto almeno 18 anni. Sarebbero circa 50 milioni, però ormai ad ogni occasione vota circa la metà (un po’ di più alle Comunali per spingere l’amico, il parente, il capotribù) e ai referendum ancora meno.
Ascoltando in questi giorni gli entusiasti commenti degli astensionisti intermittenti o persistenti, di ogni ordine e grado, mi è venuto un pensiero (fuori dalle ipocrite analisi del momento):
Siccome la democrazia è un gioco dell’oca e si ricomincia sempre daccapo, specie finché non si riassaggia l’odore delle bombe, la povertà assoluta e l’impossibilità di muoversi, io propongo di tornare al 1861. Non si sa mai, potrebbe venir fuori il galantuomo in bombetta che ci sappia governare. Forse basta quel due per cento, formato da vecchi nobili e nuovi straricchi, per farci sentire liberi e felici.
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C’è amarezza tra le righe della storia dimenticata e forse il problema è proprio l’incapacità di ricordare, di far sapere, di continuare a raccontare com’era e come potrebbe ritornare a essere. Occorre un vaccino contro la dimenticanza storica